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Sunday, June 21, 2009

Il paese del non-finito e delle chiacchiere

Quando ero piccolo a Padova le scuole finivano sempre prima del Santo. Per me e mia sorella, però, non era la grande (e patavina) festa di piazza il giorno che attendevamo con ansia: all'inizio dell'estate, noi, partivamo.

Mio padre, che allora esercitava ancora la professione medica, ci portava tutti al mare un mese o più, in Sicilia. Il viaggio era lungo e lo facevamo in auto: partivamo prima dell'alba e percorrevamo tutto lo stivale. Ci fermavamo qualche giorno a casa di uno zio, in Puglia, e poi partivamo un'altra volta. Anche così, il viaggio mi sembrava lunghissimo ma, agli occhi di me bambino, era affascinante. Mia sorella era piccola e dormiva sul sedile posteriore eternamente sdraiata e con la testa appoggiata sul grembo di mia nonna. Io sedevo davanti, accanto a mio padre, e non chiudevo occhio nemmeno per un momento. Guardavo fuori, osservavo i campi, ammiravo i viadotti, contavo le linee di mezzeria che intersecavano la traiettoria della nostra auto, contavo le gallerie per cui passavamo e non la smettevo di calcolare quanti chilometri mancavano. Sarà per questo che ricordi così lontani nel tempo sono ancora così vivi nella mia memoria.

Allora, e sto parlando del 1980, il mondo era veramente diverso e sono fermamente convinto che la mia generazione sia stata quella che ha vissuto il cambio più grande: ci dettero alla luce in un mondo, e crescemmo in un altro. Telefonare, allora, voleva dire far girare una ruota di plastica in un apparecchio grigio saldamente ancorato alla parete del corridorio. Fuori di casa, e solo se ce n'era veramente bisogno, telefonare significava anzitutto cercare qualche gettone telefonico per poi entrare in una (fetida) gabina ed effettuare la chiamata. Credo che allora la chiamassimo interurbana a tempo. Le automobili avevano ancora i carburatori e l'aria condizionata era un optional raro. I climatizzatori di oggi, non me li sognavo nemmeno.

Esempi così ne potrei fare a migliaia e se mi avessero raccontato che nel futuro avrei avuto un iPhone o una qualsiasi delle inutilità così chic que abbiamo al giorno d'oggi, non c'avrei creduto, probabilmente.

Ci sono cose che però non cambiano. O che cambiano molto lentamente. Alcune sono buone ed altre lo sono un meno. L'unica cosa che anche il mio io bambino sapeva che non sarebbe cambiata mai sapete qual'è? La Salerno-Reggio Calabria.

Ricordo che quando arrivavamo lì, tutto diventava più brutto. Il mio vocabolario del tempo non poteva essere più elaborato. Semplicemente, brutto. E quando torno in Italia a volte mi dispiace perché sento questa sensazione decadente di dejá vu. Tutto è uguale. Troppo uguale. In Veneto, forse, noterò il nuovo passante di Mestre però temo che è finita lì.

Ed anche quando ti svegli ottimista, bevi il tuo caffè e leggi il giornale, il Corriere della Sera ti ricorda che momento d'inerzia ha il mio bel (?) paese.

Leggete qui...

Più passa il tempo, meno mi interessa, ormai. Non vivendo lì, credo che non potrei capire come e perché i miei connazionali possono (soprav)vivere in un clima di sonnacchiosa indifferenza. Io lavoro e pago le tasse in un altro paese ed ho la soddisfazione, rara per un italiano, di vedere come si spendono i soldi delle mie tasse. A volte bene, a volte meno bene, ovviamente. Però lo vedo. So che non sarà il mio pro-pro-pro-nipote chi vedrà una nuova autostrada, qui a Madrid: lo vedrò io. Arrivai qui tre anni fa ed ho potuto vedere la realizzazione di un'opera pubblica (parte della M30 di Madrid) che a Milano non potrei nemmeno immaginarmi.

Mi dispiace, però sempre meno.

4 comments:

Ociosa said...

Vaya, vaya. Tres o cuatro post en uno ;-)

Yo me quedo con tus viajes de pequeño recorriendo italia de norte a sur. No sabes como me identifico con ellos. En mi caso, los viajes atravesando españa de centro a norte o de centro a sur. Con las ventanillas bajadas, detrás de un camión por una interminable carretera de sierra con curvas.

El paisaje en Italia es definitivamente más cambiante, y muchisísimo más verde. Pero veo que aunque tus ojos y los míos variaban su vista del verde al amarillo, la esencia del viaje era exactamente la misma.

Que recuerdos.

Por cierto, me parece fatal que tenga que tener una cuenta de google para poder comentar. YASTAMOS!!!

Enrico M. Crisostomo said...

Yo cuando puedo escribir, escribo. Y si se me suman temas, junto! ;)

Entonces algún día particularmente nostálgico escribiré más de mis viajes de crio. El detalle del "camión" también lo he vivido! :)

Te parece fatal tener que tener una cuenta de Google? Ya está "relajado": con ser registrado (incluso via OpenID) ya vale!

Unknown said...

Bello e nostalgico. Io non facevo viaggi molto lunghi d'estate (la Liguria non era lontana come la Sicilia!), ma anch'io mi ricordo dei viaggi estivi che oggi sarebbero impensabili: noi viaggiavamo in 4 su una Fiat 500 L color bianco panna, e ancora oggi non so come facessimo a farci stare i bagagli di tutta la famiglia. Bada che se metti di fianco una 500 di oggi e una di allora, ti accorgi che quella di allora era molto, molto più piccola di quella di oggi, e ti viene da pensare che tutto il mondo allora fosse in formato mignon.
È proprio vero: siamo nati in un mondo, e cresciamo in un altro.
Ogni tanto penso che noi, nati negli anni 70, siamo dei cyborg o dei miracolati se siamo sopravvissuti fino a oggi: le nostre mamme ci hanno partorito senza fare un'ecografia al mese e senza corsi pre-parto; viaggiavamo in braccio ad un adulto sul sedile anteriore di auto dove il più elaborato sistema di sicurezza era la serratura della portiera; quando da adolescenti abbiamo fatto le prime vacanze da soli, chiamavamo casa ogni tre o quattro giorni e fra una chiamata e l'altra i nostri genitori non avevano alcun modo di rintracciarci, a meno che non chiamassero la polizia del paese in cui ci trovavamo (sempre che lo sapessero, in quale paese ci trovavamo).

Enrico M. Crisostomo said...

Secondo me, passati i 100 kilometri o appena usciti dall'A4, allora i viaggi erano un'avventura. Anche noi avevamo la 500 bianco panna! Me la ricordo bene e volevo scriverlo nel blog. Sai perché non l'ho fatto? Perché non sapevo come spiegare, a chi non l'avesse visto, il meccanismo d'accensione! Mio nonno mi faceva tirare la "levetta", ogni tanto.

Anche le valigie sono un mistero. Noi partivamo per così tanto tempo e in macchina ci portavamo anche il computer! Non so come facevamo. Ricordo che eravamo così stivati che mia nonna teneva sotto i piedi il cartone di succhi di frutta Valfrutta (rigorosa bottiglietta di vetro e temperatura oscillante tra i 40 ed i 50 gradi... devono essere usciti di produzione 20 anni fa.

Adesso viviamo in un mondo ipocondriaco...